giovedì 31 maggio 2012

Boniver a Giuba

(ANSA) - GIUBA, 30 MAG - Una povertà fra le più gravi al mondo, oltre metà della popolazione che vive con meno di 2 dollari al giorno, una situazione di guerra non dichiarata al confine nord che ha già fatto riversare sul suo territorio 130 mila disperati, che aggravano le difficoltà, nessuna (o quasi) infrastruttura, dipendenza quasi totale dagli aiuti umanitari che devono anche fare i conti con i capricci estremi del clima: questa ` la situazione del Sud Sudan, l'ultimo nato fra gli Stati del mondo - il 9 luglio sarà un anno dall'indipendenza da Khartoum - dove oggi l'inviata speciale del ministero per le emergenze del ministero  degli Esteri, on. Margherita Boniver, ha compiuto la prima visita ufficiale italiana, per portare un messaggio di sostegno del governo italiano e per chiedere alle sue autorità di fermare l'escalation della tensione che in questi ultimi mesi oppone il neonato Paese al Sudan del nord. Un messaggio uguale a quello che domani Boniver porterà al governo del nord.
 "Noi vogliamo la pace, vogliamo fare la pace con i nostri vicini, la gente del Sud Sudan vuole una coesistenza pacifica con la Repubblica del Sudan", cio` con Khartoum, ha detto nel suo incontro con Boniver il ministro per le situazioni umanitarie sudsudanese, Joseph Lual Achuil. I due (formalmente ex) arcinemici da martedì sono al tavolo della trattativa sul campo neutro di Addis Abeba, nel tentativo di venire a capo di tutti i contenziosi lasciati aperti nel trattato di pace con cui nel 2005 si pose fine a 40 anni di guerre civili: dalla divisione delle risorse petrolifere – quasi tutte concentrate nel Sud -, alla definizione di confini certi, allo status delle popolazioni nelle aree di confine. Ma mentre i due governi si parlano, il nord, anche nelle ultime ore, continua a bombardare le popolazioni "sudiste" nelle regioni di confine, come denuncia il governo di Giuba e come conferma il coordinatore locale dell'agenzia dell'Onu per le emergenze umanitarie (Ocha), Giovanni Bosco.  In cima a questa drammatica situazione pesa come un macigno la chiusura dei rubinetti del petrolio - la risorsa contesa con Khartoum e che fornisce oltre l'80% delle risorse del Paese - decisa unilateralmente da Giuba all'inizio dell'anno. Il flusso di petrolio, che per raggiungere l'unico possibile sbocco in mare di Port Sudan, in Sudan, transita necessariamente negli oleodotti del nord, ` stato bloccato in seguito all'accusa, rivolta al nord, di "rubare" greggio. Un'appropriazione surrettizia, accusa il governo di Giuba, che si aggiunge alle tariffe decine di volte superiori a quelle che normalmente vengono praticate per i servizi di trasporto su oleodotto imposte dal nord su ogni barile di flusso. Il Sud Sudan di fatto si sta precludendo l'unica fonte di introito: una situazione di cui la comunità internazionale sta chiedendo conto al governo di Giuba:  "Ma noi - ha dichiarato il ministro - non abbiamo chiuso i rubinetti per divertirci, ma perchè ci stavano rubando il nostro petrolio. Se questo ` un problema per poterci dare soldi, ce ne scusiamo. Ma questa ` la realtà", ha detto il ministro Achuil, che ha tracciato un quadro drammatico delle emergenze che attanagliano il fragile neonato Paese. Dalla regione contesa dell'Abyei, ancora sospesa fra i due Sudan, sono entrati nel Paese 110.000 profughi, in fuga da combattimenti e violenze. A migliaia sono in fuga anche dagli Stati sudanesi del Nilo Blu e del Sud Kordofan. "Continuano ad arrivare man mano che la situazione di violenza peggiora. E noi dobbiamo trovare loro dove stare, dare loro da mangiare". In alcune zone dove si sono creati accampamenti di fortuna dove la stagione delle piogge porta con sè anche lo spettro delle alluvioni. C'` poi oltre la frontiera la pressione di circa mezzo milione di sud sudanesi rifugiatisi nel nord durante i decenni di guerre civili: una "bomba umanitaria" ancora inesplosa, per assorbire la quale, anche gradatamente, il Sud Sudan non ` attrezzato. "Abbiamo un deficit alimentare di 470.000 tonnellate di cereali" stimato dalle organizzazioni internazionali, in primis dal Pam, ha sottolineato Achuil.
"Siamo un ministero nato da niente, passato in pochi mesi dalla boscaglia ad un ufficio. Ma ho bisogno di essere aiutato, il nostro personale di essere formato, i nostri tecnici messi in grado di predire un'alluvione o una carestia. Solo cosý possiamo svolgere il nostro compito", ` stato l'appello del ministro alla delegazione italiana. "Concentrarsi sulla formazione potrebbe essere una buona forma di aiuto", ha sottolineato Boniver,  promettendo che se si reperiranno fondi non ancora allocati dal governo italiano nel campo della cooperazione, "addestrare il vostro personale sarà una priorità per l'Italia". (ANSA)


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