lunedì 17 marzo 2008

La scelta occidentale

"La scelta occidentale”

Relazione di Margherita Boniver al convegno “I riformisti craxiani e il Partito popolare europeo” – Palazzo delle Stelline 14 marzo 2008 Milano -

L’elezione del giovane Craxi alla Segreteria del Psi nel l976 segna l’inizio di una vera e propria svolta nella politica estera di quel partito all’epoca visto con occhi disincantati come una pigra organizzazione di stampo provinciale.

Per la verità l’interesse e la passione che Craxi dimostrò nei confronti della politica internazionale risale agli anni universitari e lo accompagna tutta la vita diventando a volte il vero e proprio motore del successo di uno statista che aveva fatto dell’interesse nazionale e dell’amore per la libertà e la democrazia la sua stessa ragione di vita.

Il Partito, ricordiamolo, eredita dalla fine della guerra una linea socialista che si ispira ad un pacifismo di maniera e ancora fortemente diffidente nei confronti degli Stati Uniti e della Nato, frutto delle scelte errate di allenze con il Pci. Una linea insomma anti-atlantica e persino anti-europea, che lo differenzia profondamente dai maggiori partiti socialisti europei, che lo dilania indebolendolo con la scissione di Palazzo Barberini.

Quando Nenni divenne ministro degli Esteri il Psi si era già adeguato a posizioni atlantiche ed europeiste, ma sostanzialmente rimaneva poco credibile anche all’interno delle famiglie socialdemocratiche.

Una prima folgorante intuizione portò Craxi a capire – e a interpretare forse come nessun altro poltico italiano – la portata dei cambiamenti in corso negli equilibri internazionali che sfocieranno da lì a un decennio nel crollo del Muro e alla fine delle dittature comuniste in Europa.

La scelta occidentale diventa nella interpretazione che Craxi ne dà una politica coerente, solida, chiara e soprattutto irreversibile. La sua era coincide con la fine dei cosiddetti giri di valzer in politica estera che avevano valso in passato tante critiche all’Italia (a volte ritornano) e che avevano portato alla cruda definizione su di noi apparsa in un celebre articolo su Foreign Affairs : l’Italia, il paese più affidabile, più ininfluente.

La cooperazione euro-atlantica arriva nel l979 ad un punto cruciale nel quale la decisione craxiana di permettere l’installazione degli euromissili per bilanciare la minaccia sovietica puntata contro tutte le capitali europee, nella base di Comiso, gli vale un riconoscimento immediato da parte di tutti gli alleati come uno statista solido e affidabile. Che non di meno gli scatena contro per mesi e mesi la piazze italiane rigurgitanti di pacifisti a senso unico organizzati e finanziati dai comunisti di casa e finanche dalla Unione Sovietica.

Bene inteso questo non lo farà arretrare di un millimetro, così come due anni prima, con la storica Biennale dedicata al dissenso dell’Est europeo, aveva fatto infrangere una cortina di ipocrisia invalsa per la verità in quasi tutta l’Europa. E gli aveva appiccicato una sorta di fatwa dell’epoca , direttamente da Botteghe Oscure, l’accusa nientemeno di essere anticomunista.

Logicamente la scelta occidentale non gli impedisce di dissentire, a volte rudemente, con gli alleati americani: oltre al celeberrimo episodio di Sigonella (ricomposto pochi giorni dopo ma costato uno stizzoso rimpasto di governo voluto da Spadolini) ci fu il dissenso netto sui bombardamenti americani sulla Libia, considerata giustamente come zona di influenza mediterranea a quindi fuori area Nato.

Anche l’europeismo di Craxi presidente del Consiglio segna uno storico allargamento a dodici con l’ingresso di Spagna e Portogallo nella UE avvenuto al Castello Sforzesco, dopo un lungo duellare con la Signora Thatcher contraria alla riforma del Trattato. Se oggi abbiamo la moneta unica, il mercato unico, e le basi della nuova Costituzione europa, lo dobbiamo proprio alla sua perspicacia e alla sua passione.
Molto semplicemente, sotto la sua guida l’Italia acquisì un grande prestigio, divenne partner essenziale nell’allora G7, attore assai ascoltato su tutte le crisi, prima tra tutte sulla questione medio orientale, così come sulle cause di tutti gli oppressi, indifferentemente dal colore delle dittature.

Se non avesse tragicamente concluso la sua esistenza in esilio, vittima di una giustizia feroce e populista che si era nutrita per decenni di pregiudizi ispirati e alimentati da quello che era il partito comunista più importante in Europa, oggi costretto per inconfessabili motivi a un umiliante apparentamento con Di Pietro, gli avrebbero dato il Nobel per la pace.

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